Conte-Di Maio, il vertice segreto sui migranti. Il ministro: «Chiudere i porti alle Ong»

di Monica Guerzoni

Corriere della Sera, 10 Ottobre 2019

Cresce il dualismo con il premier sui dossier F35 e servizi segreti

ROMA — Nel lungo sguardo di ghiaccio che Luigi Di Maio e Giuseppe Conte si scambiarono il 5 settembre, giorno del giuramento al Quirinale, c’era il presagio di una competizione inevitabile tra i due leader del Movimento. Una sfida sottotraccia che si fa ogni giorno più evidente, su tutti i dossier o quasi. Anche ieri, nel vertice a tre sui migranti che ha visto riuniti a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, il capo della diplomazia italiana si è smarcato dalla linea del governo. E ha vestito ancora una volta i panni che, fino a poche settimane fa, amava indossare Matteo Salvini.

«Sui porti chiusi non possiamo abbassare la guardia — ha ammonito Di Maio — Dobbiamo tenere la barra dritta e stare attenti a non lanciarci in dichiarazioni di eccessiva apertura». Altrimenti, è l’avvertimento del ministro degli Esteri, «c’è il rischio che ripartano nuove ondate di sbarchi». E che la maggioranza giallorossa finisca per fare un grosso favore a Salvini. «Stiamo attenti — è l’avviso di Di Maio, che sembra tornato ai tempi della battaglia contro i “taxi del mare” — Non dobbiamo consentire ad altre navi Ong di entrare nelle acque italiane. Sarebbe inaccettabile consentirgli di violare il codice Minniti». E qui il capo politico del M5S, che già nei giorni scorsi si era smarcato affermando che i ricollocamenti non bastano e che bisogna fermare le partenze, ha chiesto a Conte di imporre il rispetto del Codice di Condotta voluto dall’ex ministro dell’Interno del governo Gentiloni. E di vigilare sugli alleati. «Mi aspetto fermezza anche dal Pd», ha insistito Di Maio, preoccupato che il premier possa cedere alla «linea morbida» di Pd e Leu. Non che alla Farnesina non si fidino del capo dell’esecutivo, ma il ministro teme che alcune dichiarazioni di Palazzo Chigi possano rivelarsi un «pull factor», un fattore di attrazione per i trafficanti di vite umane.

Il vertice «tecnico» per fare il punto sulla strategia è durato il tempo di una partita di calcio. Novanta minuti, prima del Consiglio dei ministri, in cui Di Maio ha cercato la sponda di Lamorgese, con la quale, raccontano ai vertici del Movimento, sarebbe scattata la scintilla dell’empatia: a dimostrazione di quanto i due ministri siano «affiatati», Di Maio ha deciso di riattivare al più presto il tavolo tecnico tra Esteri e Interni. Con Conte invece, al di là delle rassicurazioni dei rispettivi staff, i rapporti sono difficili su tutti i fronti. Come ammette un ministro che li vede da vicino, «sono obbligati a collaborare, ma la competizione tra i due è forte». E non solo a causa dell’asse che si va saltando tra Di Maio e Matteo Renzi.

Dopo i vertici con i ministri del M5S convocati al gran completo alla Farnesina — che avevano fatto pensare a una sorta di governo parallelo — e dopo lo scontro sull’Iva, gli ultimi giorni hanno registrato una sfida via l’altra, con l’inevitabile corollario di malumori e sospetti. L’ira di Di Maio per le rivelazioni del Corriere sugli aerei da guerra F35 ha fatto notizia. Il ministro dem Lorenzo Guerini ha dato ragione al premier invocando «il rispetto dei patti» con gli Usa, mentre il capogruppo dei 5 Stelle in commissione Esteri, Gianluca Ferrara, ha criticato duramente l’acquisto di 90 aerei da guerra e chiesto al premier di rinegoziare gli accordi con gli Usa.

La tensione resta forte anche sul caso Russiagate e servizi segreti. Conte cammina su un terreno minato e Di Maio non sembra intenzionato a difenderlo. E l’effetto è paradossale, perché il giurista pugliese appare sempre più vicino al Pd e sempre più lontano dal capo dei 5 Stelle, il partito che nel 2018 lo mandò a Palazzo Chigi.

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