di Corrado Zunino
La Repubblica, 26 Ottobre 2019
Lo scrittore: “Non ci sono più morti e feriti di prima. Semplicemente da 15 anni tutto qui è più difficile, molto non funziona e cresce l’aggressività.
Roma — La periferia è una costante dei racconti e dei romanzi del Premio Strega Nicola Lagioia, 46 anni. La periferia della sua Bari, dove è cresciuto e viaggiato da ragazzo, curioso. La periferia della Roma che oggi abita e assicura di amare, «anche se di fondo sembra fatta per darti dolore».
Dice che la periferia di Roma è speciale, specialmente difficile, perché Roma è una città speciale, «l’unica capitale dell’Occidente dove si viaggia con due linee metropolitane e mezzo». E il centro del suo ragionamento su Roma, la violenza, la droga, i suoi ragazzi così violenti e così affini alla droga, è questo: a Roma non ci sono più morti e feriti di prima, non c’è più eroina e cocaina e fumo rispetto alle altre città italiane, le metropoli d’Europa e del Nordamerica. A Roma, semplicemente, da quindici anni si vive male. «Il malessere produce aggressività, l’aggressività produce violenza».
Vive da tempo tra Roma e Torino, Lagioia, come è cambiata la capitale ai suoi occhi?
«C’è una una tensione continua. Roma è una città carica di violenza dal punto di vista psicologico. Molti ci vivono male e in questo habitat tutto è più difficile. Muoversi da una parte all’altra della città è un’odissea, la spazzatura è paesaggio e i servizi semplicemente non funzionano. La crisi economica senza fine ormai è spalmata su tanti, troppi. L’insieme delle cose che non vanno in città si avverte. Roma non è la New York degli Anni Ottanta».
La droga è sullo sfondo di tutti gli ultimi omicidi, il vicebrigadiere Cerciello, Diabolik, ora l’agguato dei Colli Albani.
«Non è strabordante a ogni angolo. Io credo che la cocaina che si può trovare in un mercato enorme come quello della capitale sia, pro capite, la stessa che si può acquistare a Milano, a Torino dove organizzo il Salone del libro, a Berlino. La cocaina la compri facilmente dappertutto e costa relativamente poco, anche 50 euro. Era così anche negli Anni ‘80, mella mia Bari si spacciava a un passo dai carabinieri. Oggi, a Roma e altrove, la cocaina è diventata persino un elemento di socialità».
Cioè?
«È un paradosso, probabilmente disturbante, ma oggi la cocaina fa conoscere persone che altrimenti non entrerebbero mai in contatto. Non è più la droga dei ricchi, è un collante interclassista. La può usare un colletto bianco, un fuoricorso universitario, un dirigente, un dipendente pubblico. Ecco, acquistarla o venderla sembra dare un senso a una città che non ha un senso, non ha una direzione, una carica. Scopo della giornata. per alcuni, diventa rimediare o guadagnare con un grammo di coca. C’è, se non una banalità, una normalità in questa droga. La coca fa marciare altri sottomercati, è un’economia sommersa che tiene in piedi una fetta di cittadinanza. No pensiamo ai grandi trafficanti, ai pusher, ma c’è una zona grigia di piccoli spacciatorelli che bendono froga per arrotondare, comprarsi i vestiti, avere i soldi per una vacanza. La cocaina è un paesaggio sempre presente che qualcuno non vede».
Torniamo a Roma, è davro una questione di malessere di fondo. O c’è dell’altro?
«Non è facile trovare un senso in una città dove è difficile muoversi, avere figli, partecipare a una vita culturale collettiva. La cultura ti dà un senso. Roma, negli ultimi quindici anni, è la vera eccezione culturale. È una città spolpata, con un turismo usa e getta, senza cultura d’impresa. Sembra nutrirsi di sé, praticare l’autocannibalismo. Può essere affascinante per uno scrittore, ma viverci da cittadino è un dolore. E questo nonostante abbia una socialità unica, una facilità alla conoscenza».
A Roma i coltellini in tasca sono quotidianità per i minorenni.
«Credo girino più armi nelle banlieu di Parigi o nell’East London. La droga, le armi, la violenza, non è lì il centro. Il centro della questione è il malessere diffuso, l’aggressività diffusa».
La sua periferia?
«È il luogo dove succedono le cose, quelle interessanti e quelle pesanti. Lo ha descritto molto bene Valerio Mattioli. in “Remoria, La città invertita”. Accade lo stesso a New York. Il problema della capitale italiana è che le case continuano a costare molto e le opportunità diminuiscono. Il centro è riservato a pochi ricchi , qualche turista e ai politici. La politica è l’unica che si può permettere di dormire a Roma, oggi. Quando sono arrivato a Monti, tanti anni fa, una casa si affittava a 800 euro il mese, ora per quella cifra non ti danno neppure una stanza. Per capire dove va il futuro bisogna andare in periferia. Domani Roma tutta potrebbe assomigliare a Torre Maura, il bus che non arriva, i cassonetti strabordanti, i caloriferi dei consomini comunali che non funzionano. La periferia resta il laboratorio delle cose più interessanti e più dolorose».